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Architetto Alessio Virgili

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Restauro architettonico: Farnese a Roma

Concetto di restauro architettonico nel Codice dei beni culturali e del paesaggio

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio definisce in questi termini il restauro architettonico, all’art. 29, comma 4:

“Per restauro si intende l’intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione e trasmissione dei suoi valori culturali. Nel caso di beni immobili situati nelle zone dichiarate a rischio sismico in base alla normativa vigente, il restauro comprende l’intervento di miglioramento strutturale.”

Il testo legislativo si rifà ad un lungo e raffinato percorso di definizione teorica del restauro architettonico, con riguardo ai due aspetti essenziali, il problema della conservazione della materia originale (“integrità materiale”) e il problema della conservazione e trasmissione dei valori culturali. Al restauro non è delegata solo la funzione di conservare l’immagine, l’aspetto visivo, ma anche di conservare e trasmettere le informazioni tecniche e culturali codificate nel bene culturale oggetto di intervento.

Tendenze attuali nella prassi del restauro

In relazione all’atteggiamento adottato rispetto alla conservazione della materia originale, gli orientamenti teorici che stanno, al giorno di oggi, alla base della prassi del restauro in Italia (si veda G. Carbonara, Avvicinamento al restauro, Napoli 1997) confluiscono in tre tendenze:
– il restauro critico, 
– il restauro di ripristino, 
– il restauro puramente conservativo.

Restauro critico 

È un approccio metodologico al restauro formulato da Cesare Brandi, storico dell’arte e direttore, per un lungo periodo, dell’Istituto Centrale del Restauro (oggi Istituto superiore per il restauro e la conservazione).

Il restauro critico propone il progetto di restauro architettonico come una “lettura” del monumento, da conservare nella sua stratificazione storica, tra immagine e materia, nella forma in cui ci è pervenuto.

Questo è l’approccio che si avvicina di più a quanto definito nella normativa, poiché l’intervento tende a conservare il massimo di informazioni contenute nel bene, operando però una scelta per identificare i valori.

Restauro di ripristino

Il restauro di ripristino è un approccio teorico che riprende alcune correnti di pensiero dell’Ottocento (quale per esempio il restauro stilistico).

A livello molto schematico, si potrebbe dire che promuove il completamento di alcune parti mancanti di un monumento, o la trasformazione di alcuni elementi, allo scopo di ricostituire una forma ideale del monumento, esistita (o supposta di esser esistita) nel passato.

Uno dei limiti di tale corrente di pensiero è l’arbitrarietà delle scelte progettuali: spesso le fonti iconografiche a cui si attinge sono relative e imprecise.

Ad un altro livello interpretativo, si potrebbe dire che tale approccio è un tentativo di abolire il tempo trascorso e l’evoluzione dell’opera.

Restauro di pura conservazione 

Il restauro prettamente conservativo (tra gli esponenti di tale tendenze sono Mario Dezzi Bardeschi, Stella Casiello) richiede la rigorosa conservazione del manufatto nella completezza delle sue stratificazioni e la conservazione della patina, come segno della trasformazione della materia nel tempo.

È comunque considerata lecita la rimozione motivata di alcune aggiunte che deturpano l’aspetto visivo del monumento, aspetto che avvicina tale linea concettuale al restauro critico.

Restauro critico – linee di pensiero

Schematicamente si possono così delineare alcune linee del pensiero di Cesare Brandi:
– il restauro deve azionare con principi unitari, dai più piccoli manufatti alla scala dell’architettura;
– l’opera d’arte è da analizzare come una stratificazione di interventi, che la coscienza critica deve considerare nel loro valore estetico e nel loro valore storico: ne consegue che la vecchiaia in se non è un criterio assoluto di valore, ma il giudizio deve considerare anche il valore estetico;

– l’intervento di restauro

– che è un momento di presa di coscienza nei confronti dell’opera d’arte

– non si può azionare in diretta continuità con il passato, ma deve esserne un interpretazione, un giudizio critico capace di offrirne una lettura.

Ne consegue che un restauro architettonico non è un ritorno nel tempo verso un’età passata dell’opera, ma un intervento che deve rendere leggibile l’opera, nelle sue “stratificazioni” successive. Il ritorno ad una “forma ideale”, o il ritorno alla “forma originaria”, sono concetti di restauro che caratterizzano il restauro stilistico e scientifico; queste dottrine hanno dominato il pensiero a cavallo tra Otto e Novecento, ma sono ormai desuete;

– l’idea di conservare l’opera così come ci è pervenuta implica il fatto che la rimozione delle aggiunte debba essere un’eccezione, non una regola;

– l’immagine dell’opera è strettamente collegata alla sostanza (è un’”epifania della materia”); considerato ciò, la conservazione dell’immagine deve essere sostanzialmente collegata alla conservazione della materia: ne consegue che il rifacimento nelle stesse forme con materiali nuovi, oppure la demolizione seguita dal rifacimento in forme identiche, non è restauro;

– il segno del passaggio del tempo, la patina, è una parte componente dell’opera d’arte; per quanto possibile, va conservata come segno che caratterizza l’immagine.

Scelte di progetto

La conservazione di un bene – che presuppone la trasmissione al futuro delle informazioni ivi codificate –  implica anche la conservazione, nella maggior misura possibile, del sistema costruttivo e del concetto strutturale originale, degli schemi statici originali, delle originarie modalità di scarico delle tensioni.

Il progetto di restauro non conosce ricette, ma la situazione va valutata caso per caso. È il metodo stesso a suggerire delle linee di buona prassi, quali per esempio:

– la rimozione delle aggiunte va considerata un’eccezione e non una regola, e verrà proposta solo se queste sono  invadenti nell’estetica dell’opera o dannose dal punto di vista statico;

– no in genere alla prassi di riportare ad una forma originaria, fatto da valutare caso per caso;

– non si deve considerare a priori – nel caso di un manufatto architettonico – che il valore è dato solo dall’antichità, che tutte le parti più recenti sono per forza prive di valore;

– va conservato per esteso il materiale originale (intonaci storici, solai lignei, infissi, scale, ringhiere in ferro battuto, cornici originali, elementi lapidei, anche se degradati ecc.), evitando per quanto possibile demolizioni e ricostruzioni, anche con lo stesso materiale;

– il completamento di una lacuna con elementi sagomati secondo la forma originale è un procedimento che entra nella prassi delle riparazioni; ma la sostituzione per esteso di elementi originali, degradati, con elementi nuovi, che riproducono la forma originale (per esempio alle cornici e inquadramenti delle finestre, mensole ecc.) è una prassi che va oltre il restauro;

– si dovrebbe evitare di sfondare muri portanti per nuove aperture, perché tale prassi può causare squilibri gravi nello scorrimento delle tensioni nelle murature e nella distribuzione complessiva delle rigidezze (Per il miglioramento sismico degli edifici monumentali, vedi le Linee guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale emanate dal MIBAC;

– è buona prassi evitare di aprire tracce nelle murature per inserire tubature e cablaggi; le tracce nelle muratura possono diminuire drasticamente la sezione portante del muro su segmenti lunghi, causando la perdita di equilibrio della struttura.

Riferimenti bibliografici selezionati 
Cesare Brandi, Teoria del restauro, Roma 1963
Giovanni Carbonara, Avvicinamento al restauro, Napoli 1997
Paolo Marconi, Materia e Significato – La questione del restauro architettonico, Roma – Bari 1999
Giovanni Urbani, Intorno al restauro, a cura di B. Zanardi, Milano 2000
Stella Casiello, La cultura del restauro. Teorie e fondatori, Napoli 2005

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Restauro